Cos’è il gioco? Filosofia spicciola di un giocatore

Non solo passatempo: il gioco è libertà, esplorazione e crescita che accompagna l’essere umano dall’infanzia all’età adulta.

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Con questo secondo articolo di gg ci apprestiamo a fare un breve excursus sul “gioco”, inteso come attività ricreativa.
Ma è veramente solo questo?

Nell’universo delle esperienze umane, il gioco rappresenta forse la più antica e universale forma di espressione, precedendo persino la cultura stessa.
Da sempre, filosofi e pensatori si sono interrogati sulla sua natura sfuggente: attività apparentemente priva di scopo eppure fondamentale per lo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale dell’individuo.
Il gioco abita quello spazio liminale tra realtà e immaginazione, dove regole e libertà creativa si intrecciano in un equilibrio dinamico.

Il gioco come affermazione del sé

Nella sua opera fondamentale “Homo Ludens”, Johan Huizinga identifica nel gioco non un semplice passatempo, ma un atto profondamente significativo attraverso cui l’essere umano afferma la propria esistenza. Per il filosofo olandese, l’attività ludica rappresenta una dimensione primaria e irriducibile dell’esperienza umana, uno “spazio magico” che si sottrae alle necessità della vita quotidiana.
All’interno del “cerchio magico” del gioco – quello spazio-tempo separato dalla vita ordinaria con le proprie regole e significati – l’individuo sperimenta una libertà peculiare: quella di essere pienamente sé stesso mentre, paradossalmente, interpreta altro da sé.
È proprio in questa danza tra identità e alterità che il soggetto afferma la propria autonomia, scopre i propri limiti e potenzialità, esplora dimensioni creative altrimenti inaccessibili.

I videogiochi rappresentano forse la manifestazione più potente e sofisticata di questo “cerchio magico” teorizzato da Huizinga: attraverso mondi virtuali sempre più complessi e immersivi, il giocatore può esplorare molteplici identità, sperimentare conseguenze delle proprie scelte in ambienti protetti e sviluppare capacità cognitive in svariati contesti.

Il sé digitale diventa così il ponte tra il sé reale e le infinite possibilità dell’essere, amplificando quella tensione creativa tra identità e alterità che Huizinga considerava essenziale nell’esperienza ludica umana.

L’importanza della noia

Quante volte, da bambini, ci siamo trovati faccia a faccia con la noia?
Forse una partita di calcio annullata per un improvviso temporale, o gli amici confinati a letto dall’influenza stagionale.
In questi momenti di apparente vuoto, come abbiamo reagito all’assenza di stimoli esterni?
La noia si rivela un potente catalizzatore creativo.
In quel pomeriggio in cui le porte del parco ci sono state precluse, cosa abbiamo fatto? Abbiamo inventato universi paralleli tra le pareti domestiche, trasformato scatole in astronavi, corridoi in giungle inesplorate, mobili in castelli inespugnabili.

È proprio in questi momenti di creazione spontanea che, secondo il filosofo Hans-Georg Gadamer, avviene qualcosa di straordinario: non siamo più semplicemente soggetti che giocano, ma diventiamo parte integrante del gioco stesso.
Gadamer sostiene che il vero gioco trascende chi lo pratica, creando una realtà autonoma in cui il giocatore si dissolve.
La noia, paradossalmente, ci spinge verso questa fusione con l’esperienza ludica, dove non siamo più noi a giocare, ma è il gioco stesso che “viene giocato” attraverso di noi, facendoci sperimentare quella perdita dei confini dell’io che caratterizza le esperienze più autentiche e trasformative.

Lo stesso discorso può essere applicato al mondo videoludico: i giochi sandbox come Minecraft (il più famoso in assoluto) o altri titoli RPG (Role-playing games, tradotto “Giochi di Ruolo”) non sono forse la risposta digitale a quella stessa noia creativa?
In questi spazi virtuali, paradossalmente, ritroviamo quella libertà primordiale di inventare mondi dal nulla, creare il nostro alter-ego digitale e vivere un processo di crescita e sviluppo del personaggio.

L’apparente contraddizione è che proprio attraverso la tecnologia – spesso accusata di sopprimere la creatività – possiamo riscoprire quella perdita dei confini tra giocatore e gioco che caratterizzava i nostri pomeriggi d’infanzia.
Le ore trascorse a costruire mondi e personaggi digitali non sono semplice evasione, ma l’espressione contemporanea di quell’antico bisogno umano di creare significato dal vuoto.

Good Game - L'importanza della noia

Il mito della caverna

Non è solo il mito della caverna di Platone, ma anche quello della caverna del tesoro (magari sorvegliato da un drago).
C’è un’analogia molto interessante tra la caverna di Platone e quella del tesoro: cosa spinge gli uomini ad avventurarsi fuori dalla caverna e parimenti a cimentarsi nella ricerca del tesoro all’interno della caverna?
Un comportamento innato degli esseri umani (e non solo): la curiosità.

Per Jean Piaget, la curiosità nasce dal conflitto cognitivo, quando le nostre strutture mentali esistenti (schemi) incontrano qualcosa di nuovo che non riescono a spiegare.
Il bambino che gioca “esplora” continuamente per testare e modificare i propri schemi.
La caverna del tesoro diventa così una metafora perfetta dell’apprendimento: ogni ostacolo (il drago, le trappole, l’ignoto) rappresenta un disequilibrio che spinge verso nuovi equilibri cognitivi.
La curiosità è il motore dell’apprendimento, rappresenta una spinta fondamentale verso l’esplorazione: è quella tendenza innata che ci porta a riconoscere, ricercare e investigare tutto ciò che appare nuovo, ambiguo o complesso.

La relazione tra curiosità e apprendimento rivela però un paradosso interessante.
Da un lato chi è più curioso cerca più informazioni, apprende di più, desidera comprendere meglio e si pone domande sempre più profonde per saziare la propria sete di conoscenza.
Dall’altro lato, questa stessa curiosità raramente si allinea spontaneamente con i programmi scolastici o le richieste istituzionali.

Proprio per questo sono stati sviluppati metodi che sfruttano la gamification delle esperienze apprenditive, in modo da stimolare il circolo virtuoso “curiosità -> apprendimento” e spingere i bambini a sviluppare un proprio modo per risolvere i problemi.

Tramite il gioco si può “umanizzare” l’apprendimento, trasformandolo da mero insieme di nozioni da imparare ad un processo di interiorizzazione/realizzazione che preveda l’utilizzo della curiosità, della creatività e dell’unicità di ogni persona.

Questo approccio non è solamente valido per i bambini, ma per tutto il range 0-99.

0-99 ed oltre: il gioco nell’età adulta

Anche gli adulti giocano. Semplice, no?
Certo, le dinamiche e l’approccio al gioco sono diversi rispetto a quello dei bambini, ma il senso stretto dell’esperienza ludica è lo stesso: non ci verrebbe mai in mente di sdraiarci sul pavimento a giocare con i famosi mattoncini (anche se al sottoscritto piacerebbe non poco), ma applichiamo la stessa dinamica in altre azioni.

L’adulto non abbandona il gioco, piuttosto lo trasforma e lo sublima, integrando quella capacità di immersione e quella tensione tra libertà e regole in attività che la società considera più “serie” o “produttive”.
Riconoscere questa continuità dell’esperienza ludica attraverso il ciclo vitale ci permette di comprendere come il gioco non sia una semplice fase preparatoria alla vita adulta, ma una dimensione permanente e necessaria dell’esperienza umana.

Il mondo è un immenso parco giochi

Se osserviamo la realtà in modo attento, scopriamo che il mondo intero può essere interpretato come un vasto parco giochi, un territorio infinito di possibilità ludiche che attendono solo di essere riconosciute.
Ogni spazio, ogni interazione, ogni sfida quotidiana contiene in sé il potenziale per trasformarsi in esperienza di gioco.
Il filosofo Bernard Suits definiva il gioco come “il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari”, e in questa prospettiva, la vita stessa diventa un complesso sistema ludico.

Dal professionista che affronta creativamente un problema lavorativo, all’artista che “gioca” con i materiali per esprimere una visione, fino alle interazioni sociali con le loro regole implicite – tutte queste esperienze rivelano la natura intrinsecamente ludica dell’esistenza umana.
Riconoscere il mondo come parco giochi non significa banalizzarlo, ma al contrario, coglierne la profonda complessità e le infinite possibilità trasformative, invitandoci ad abitarlo con quello spirito di curiosità, creatività e meraviglia che caratterizza l’autentica esperienza ludica.

Poco tempo, troppe cose da fare: tempo e gioco nell’era dell’accelerazione

Sappiamo bene che il mondo gira sempre più velocemente: le innovazioni tecnologiche hanno portato sempre più comodità nelle nostre vite ma ci hanno privato di una cosa fondamentale, una cosa che non ha prezzo.
Il tempo.
Il doversi barcamenare tra una miriade di impegni professionali e familiari, la costante interazione con i social media, l’incessante bombardamento di notizie e ultim’ora tengono il cervello sempre acceso, sempre pronto ad elaborare impulsi e segnali del mondo circostante.

Mi ritrovo spesso a discutere di questo argomento con amici e colleghi che, come me, hanno la passione dei libri, giochi da tavolo e videogiochi: “Dove trovo il tempo per poter leggere e giocare tutto quello che viene pubblicato?”
Annoso problema.
Negli ultimi anni sono arrivato ad una mia conclusione: il gioco, per il sottoscritto, è sempre stata una parte fondamentale dell’esistenza e della mia attività professionale.

Un continuo balletto tra un libro ed un videogioco, una partita a carte con gli amici e una partita a scacchi contro l’IA.
Siamo noi a dover decidere come e quanto implementare questa filosofia nelle nostre vite, per usare le parole di Gandalf ne Il Signore degli Anelli: “Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non spetta a loro decidere; possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso.”

E voi, quando è l’ultima volta che avete giocato?

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Filippo Pedretti

Sviluppatore, musicista, divoratore seriale di libri e creativo.
In Education Marketing Italia mi occupo di codici, geroglifici e tutte quelle cose magiche di cui sono fatti i siti web.

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