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Le STEM sono la chiave per il nostro futuro?

9 agosto 2017Lascia un commentoAcademic Program Assestement, AttualitàBy Giulia Cattoni

STEM watchScienza, tecnologia, ingegneria e matematica. In un acronimo: STEM.

La parola, che sempre più spesso ritorna tra gli argomenti di chi frequenta gli ambienti scolastici, è utilizzata per indicare un gruppo di discipline su cui puntare per programmare corsi di studio e scelte educative volte a incrementare l’innovazione e la competitività in campo scientifico e tecnologico. L’acronimo, e le riflessioni al riguardo, nascono negli anni 2000 in America per poi diffondersi in Europa con lo stesso credo: il potenziamento delle STEM è imprescindibile per promuovere l’innovazione, preparare i giovani all’occupazione e, di conseguenza, per lo sviluppo e la crescita della società.

Tra le voci scettiche ritroviamo quella di Jeroo Billimoria, imprenditrice indiana fondatrice di diverse prestigiose ONG internazionali, che di recente ha dichiarato in un articolo pubblicato per il World Economic Forum che concentrarsi esclusivamente sulle discipline STEM ha il vantaggio di far crescere una generazione di giovani esperti sugli specifici argomenti tecnico-scientifici ma ha il rischio di non sviluppare sufficientemente negli studenti una serie di altre sensibilità imprescindibili per la crescita economica e lo sviluppo del nostro territorio e della nostra società. “Instead, a holistic approach is needed to equip the future workforce and secure economic development for emerging and modern economies alike. To adequately invest in the future, the creation of a generation of economic citizens is key to boosting economic growth and breaking ongoing cycles of poverty. […] focusing on STEM is not enough. Educating young people in these subject areas may ensure they are experts on specific topics, but it does not necessarily create conscientious citizens who are capable of making responsible social and financial decisions”.

Dunque, secondo Billimoria, la correzione da mettere in atto si traduce in un approccio olistico che punti a formare cittadini in modo tale che essi siano capaci di inquadrare anche, e soprattutto, dinamiche di carattere prettamente economico-finanziario.
L’imprenditrice indiana conviene sull’importanza di fornire ai cittadini di tutti i paesi una base di conoscenze scientifiche e tecnologiche ma ribadisce come focalizzarsi unicamente sulle STEM risulti inconveniente in quanto la realtà che viviamo è multidimensionale. Le tecnologie, in rapida e costante evoluzione, e la concorrenza globale rendono molto difficile predire le esigenze occupazionali.
“If we look to the recent financial crisis, lax monetary policies and inadequate corporate governance, which contributed to the global recession, were exacerbated by poor assessment of risks and a lack of regulatory transparency. This suggests a deficiency in responsible decision-making rather than a lack of expert subject knowledge — and while most of today’s youth will not deal directly with macroeconomic issues, every citizen contributes to the social and economic wellbeing of their country”.
Questa quindi la sua chiave di lettura: per garantire la stabilità economica futura bisogna assicurarsi che tutti i giovani ricevano un’istruzione finanziaria adeguata. Solo in questo modo diventeranno cittadini responsabili nelle proprie decisioni. Come? Gli elementi-argomenti chiave da potenziare, secondo Billimoria, sono tre: inclusione finanziaria, educazione finanziaria e educazione sociale e di sostentamento.

Ma facciamo un passo indietro. Come già accennato, l’acronimo STEM nasce negli Stati Uniti. Nella definizione del significato di questa parola, la National Science Foundation (un ente del governo statunitense che supporta la ricerca e l’educazione) fa uso della classificazione STEM ricorrendo al concetto di scienza che include non solo le scienze fisiche e naturali ma anche le scienze sociali e altre materie come economia, linguistica, scienze politiche e psicologia. La riflessione dell’imprenditrice indiana appare così ridondante, quasi una tautologia, anche se porta positivamente a far riflettere quei paesi, come l’Italia, in cui la divisione tra le materie scolastiche avviene prevalentemente tra quelle umanistiche e scientifiche.
read STREAMD’altronde, sin dalla sua nascita, il paradigma STEM ha innescato diverse riflessioni inerenti il concetto di innovazione tecnologica ed educazione: il ricercatore Georgette Yakman chiese di aggiungere la lettera A di Arti e, più recentemente è stata anche proposta l’aggiunta di una R, come Reading, per sottolineare l’importanza di non trascurare l’esercizio basilare della lettura. Da STEM, a STEAM, fino a STREAM.
Da qualunque punto di vista la si guardi, sembra che il problema sia quello della coperta troppo corta. Un buon programma formativo deve sempre essere ricco e vario, capace di coprire a raggio una moltitudine di argomenti e fornire così agli studenti una formazione completa, ricca di scienze tanto quando di lingue e arte, capace di dare competenze specifiche ma senza mai sacrificare la costruzione del carattere personale per far crescere nuovi cittadini eclettici, consapevoli, responsabili e preparati. Ma non è forse questo il buon ideale di ogni istituto e di ogni ente che creda sinceramente nell’educazione delle generazioni future? Quindi come plasmare i programmi didattici senza rischiare nessuno scompenso?

Vale la pena guardare la questione da un differente punto di vista: la vera difficoltà oggi sta nel capire come i nuovi mezzi tecnologici stanno modificando il nostro modo di ragionare e apprendere; in questo senso la scuola ha il dovere e il diritto di rinnovare i programmi scolastici non solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche da quello dei metodi. E, nella nostra realtà, per restare all’avanguardia sotto entrambi gli aspetti è fondamentale rafforzare il dialogo tra scuola, mondo della ricerca e imprenditoria.

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Giulia Cattoni

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