Le principali tecniche per mantenere l’attenzione degli studenti in classe

Individuare le attività per mantenere vivo l’interesse degli alunni durante le lezioni può migliorare il lavoro del docente nel facilitare l’apprendimento

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Per quanto un insegnante possa impegnarsi, è innegabile la possibilità di cadere in una noiosa ripetizione delle nozioni. Il lavoro dell’insegnamento, infatti, consiste anche nel trovare degli accorgimenti che tengano viva l’attenzione dello studente, passando dalla tradizionale didattica frontale a momenti di coinvolgimento attivo.

Questo lavoro, necessario già dai primi anni di scolarizzazione, non può mai essere dato per scontato, in quanto ogni classe è diversa. La tecnica che risulta vincente con un gruppo di alunni, infatti, non necessariamente lo sarà anche con altri.

L’atteggiamento dell’insegnante

A volte ci si ritrova a richiamare la classe che si distrae ripetutamente. Non sempre però è colpa della pigrizia degli studenti. C’è da tenere presente che il tempo medio dell’attenzione di un alunno della scuola elementare è di circa 15 minuti, tempistica che sale fino a 30 massimo 45 minuti per gli alunni adolescenti.

L’insegnante deve quindi individuare delle metodologie didattiche che, oltre tale soglia, catturino l’attenzione della classe.

Come ottenere, quindi, e soprattutto mantenere l’interesse?

Lo step di partenza riguarda proprio l’atteggiamento e il comportamento del docente stesso. Come insegna Paul Watzlawick, (psicologo-filosofo della Scuola di Palo Alto), nel noto primo assioma della comunicazione, “è impossibile non comunicare”. Ogni comportamento, incluso il silenzio, assumono un valore comunicativo. La prossemica, relativa alle distanze interpersonali, diventa così un elemento da sfruttare per comunicare in modo accattivante.

È fondamentale per il docente considerare il modo in cui gesticola e si muove in aula:

  • Camminare tra i banchi, ad esempio, cattura l’interesse dell’alunno perché lo costringe a seguire il punto mobile con gli occhi, e quindi ad attivare l’attenzione. Inoltre, camminando, si raggiungono anche i banchi in ultima fila dove è tendenzialmente più facile distrarsi;
  • Utilizzare la LIM (lavagna interattiva multimediale) consente di ricorrere ad attività multimediali come video, mappe concettuali o quiz relativi agli argomenti da studiare. Dobbiamo tener presente che la generazione odierna di studenti è formata da nativi digitali, che considerano naturale l’utilizzo di smartphone, pc e tablet, di conseguenza inserirli nelle lezioni, nella giusta dose, è quasi necessario;
  • La disposizione dei banchi, nel caso della scuola primaria e secondaria di primo grado, influenza particolarmente la partecipazione. La disposizione in cerchio, ad esempio, stimola la comunicazione tra gli alunni e la nascita di dibattiti che promuovono il confronto.

In un noto saggio del 1983, Robert Norton, studioso di comunicazione, ha affermato che “gli insegnanti efficaci sono di fatto i comunicatori più competenti”. Non è importante solo ciò che si dice, ma come viene detto per attrarre l’attenzione:

  • Modificare il tono di voce, rimarcando alcuni concetti, richiama l’attenzione nel caso in cui la mente si sia assentata;
  • Evitare il monologo e ricercare la partecipazione degli alunni, rende la lezione meno noiosa. Per farlo, è necessario non dire subito tutto, cioè lasciare parti di nozioni in sospeso, in modo da suscitare la curiosità e di conseguenza scatenare domande e riflessioni da parte degli alunni. Lo psicologo Jerom Bruner l’ha definito “effetto Zeigarnik”, secondo il quale è più facile ricordare i compiti incompleti perché determinano una tensione mentale che spinge a completarli, rafforzando così la memorizzazione;
  • Usare l’ironia e fare delle battute che ogni tanto spezzano il ritmo della lezione, aiuta a creare un ambiente rilassato e a richiamare l’attenzione degli alunni laddove stia scemando. Consente loro di riposare e riattivare la mente.

 

Le strategie “richiama attenzione” da attuare in classe

Amishi Jha, professoressa di psicologia dell’università di Miami, paragona l’attenzione alla situazione del vagare al buio con una torcia: il fascio di luce viene focalizzato alternativamente su diversi particolari, tralasciando di volta in volta il resto. Le distrazioni ci fanno orientare la torcia su elementi secondari che rendono più difficile il recupero dell’oggetto principale.

Questo è esattamente ciò che accade all’attenzione degli studenti.

L’insegnante può però sperimentare delle strategie didattiche per mantenere l’interesse e la curiosità attiva, un argomento può diventare interessante se comunicato nel modo giusto. Vediamo quali.

 

Active learnig (attivismo pedagogico)

Teorizzato alla fine dell’800 dal filosofo statunitense John Dewey, innovatore nel campo della pedagogia, l’attivismo pedagogico considera il docente come un guida che induce a riflettere su ciò che si impara, e non come colui che trasmette conoscenza.

Come?

Attraverso delle domande specifiche: l’insegnante chiede espressamente agli alunni di porre dei quesiti riguardanti la lezione precedente; prevedere delle pause ogni 15-20 minuti circa nelle quali si invita gli studenti a ragionare su quanto appena detto; annotare le difficoltà dei singoli alunni, invitandoli ad esprimere chiaramente cosa non riescono a capire immediatamente.

L’attivismo pedagogico prevede una didattica stimolante realizzata anche tramite laboratori (in passato Dewey prevedeva laboratori di cucina, giardinaggio, pittura…), che invogliano gli alunni alla partecipazione, costringendoli ad essere attivi e meno distratti.

 

Visualisation (visualizzazione)

Visualizzare un concetto aiuta a chiarirlo, per questo raccontare delle storie o fare degli esempi e dei riferimenti della vita quotidiana, aiuta a stabilire dei collegamenti tra teoria e pratica.

Per aiutare a visualizzare i temi di studio collegati alla vita reale è utile ricorrere a materiale di supporto, soprattutto di tipo digitale, come possono essere foto e video. Ad esempio, nel caso della storia, si possono mostrare fotografie di eventuali fatti storici, o video testimonianze, a cui poi collegare l’argomento da trattare.

 

Inquiry-based learning (insegnamento basato sull’indagine)

Negli anni ’60 gli studiosi Dewey e Piaget hanno promosso una tipologia di apprendimento basato su sequenze ordinate specificamente. Una metodologia approvata più recentemente anche dalla Commissione Europea tramite il Rapporto Rocard nel 2007.

Le sequenze di apprendimento possono essere così organizzate:

  • Spingere gli alunni a porsi delle domande
  • Raccogliere le informazioni relativamente alle domande esposte
  • Trovare spiegazioni logiche alle domande tramite le informazioni raccolte
  • Interpretare le considerazioni
  • Trarre delle conclusioni

Le “indagini”, (ossia il lavoro in sequenze realizzato dagli studenti), possono essere di diverso tipo:

  •  Indagine confermativa, concentrata su fatti noti
  • Indagine strutturata, che prende spunto da domande poste dall’insegnante
  • Indagine aperta, centrata su domande spontanee degli studenti

Gamification

Il termine è stato coniato nel 2003 dallo sviluppatore di videogiochi Nick Pelling, per promuovere la propria startup. Nel 2010, Jesse Schell, il game-designer e professore alla Carnegie Mellon University of Pittsburgh, nel Dice Summit di Las Vegas, suggerì di applicare il game alle attività della vita quotidiana.

Da qui, anche alla scuola, dove per gamification si intende l’applicazione dei principi del gioco alle attività di apprendimento, al fine di aumentare l’attenzione della classe, sfruttando il fatto che il cervello ricorda meglio ciò che viene appreso svolgendo un’attività che piace. Questo non vuol dire utilizzare direttamente dei giochi, ma i principi e gli stili narrativi che li caratterizzano, realizzando delle attività divertenti, nelle quali determinare i tempi, le risorse e le tecnologie da utilizzare.

 

Cooperative learning (apprendimento cooperativo)

Concerne una forma di apprendimento realizzato tramite il lavoro di gruppo. Il modello, ideato dai fratelli David e Roger Johnson, negli anni ’70, specifica che “cooperare vuol dire lavorare insieme per realizzare obiettivi condivisi. All’interno di situazioni cooperative, gli individui cercano risultati che sono benefici per loro stessi, ma anche per gli altri membri del gruppo”.

Acquisire la capacità di lavorare confrontandosi con gli altri sarà poi utile nel mondo del lavoro, dove la capacità di collaborare è considerata oggi una skill fondamentale del soggetto. Inoltre, il lavoro di gruppo migliora le capacità decisionali dello studente, aiutando ad accrescere la fiducia in se stesso.

Il ruolo dell’insegnante sarà quello di definire chiaramente gli obiettivi da raggiungere e i ruoli (come il segretario che prende appunti, il reporter che presenta il lavoro, il facilitatore che concede il turno di parola).

 

 

Ogni strategia, però, non è mai certa: le singole situazioni possono infatti convincere il docente nell’utilizzo di una piuttosto che di un’altra. Provare rimane la parola d’ordine per l’insegnante, senza mai dimenticare che segmentare le lezioni che appaiono più complesse o lunghe, rimane un elemento cruciale.

Così come è fondamentale tenere sempre a mente che l’importante non sono tanto i contenuti quanto il modo in cui vengono veicolati: un alunno incuriosito sarà un alunno che ricorderà e di conseguenza un alunno preparato.

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Ilenia Valleriani

Ho conseguito con lode la laurea specialistica in Comunicazione d’Impresa, successivamente alla laurea triennale in Scienze della Comunicazione, presso l’Università La Sapienza di Roma.

Insegnante nella scuola superiore di secondo grado, dal 2017 ho iniziato l’attività di content writer, in particolare sui temi del marketing e della comunicazione, per seguire la passione che coltivo sin da bambina: la scrittura.

Da luglio 2021 collaboro con il blog di Education Marketing Italia.

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