Come mai è così difficile insegnare cittadinanza digitale a scuola?
La cittadinanza digitale è un aspetto dell’educazione civica, introdotta dalla Legge n. 92 del 2019 ed ancora un terreno poco esplorato nella scuola italiana. Spesso trattata come un’estensione tecnica dell’educazione civica, resta confinata a poche ore dedicate alla sicurezza online o alla netiquette: qualche ora di lezione su cyberbullismo e privacy non basta.
La cittadinanza digitale non si esaurisce nella prevenzione dei pericoli ma riguarda il modo in cui le persone si informano, partecipano, costruiscono relazioni e identità nel contesto digitale. In un mondo sempre più interconnesso, educare al digitale significa educare alla cittadinanza globale.
Senza risorse, formazione e una direzione chiara, però, resta una dichiarazione d’intenti.
Mancano ancora visione, coordinamento e strumenti pedagogici aggiornati. I docenti, spesso senza formazione specifica, si trovano a fronteggiare temi complessi (hate speech, disinformazione, uso critico dell’intelligenza artificiale) senza una bussola condivisa. Questo genera un approccio difensivo, che privilegia il controllo rispetto alla costruzione di competenze.
Per formare cittadini capaci di agire nel presente, online e offline, serve un’educazione digitale che sia integrata, trasversale, coraggiosa. Una sfida culturale, prima ancora che didattica.
Cittadinanza digitale e Educazione civica digitale: quali differenze?
Facciamo chiarezza sulle terminologie. L’ “educazione civica digitale” si concentra sull’acquisizione di competenze e conoscenze necessarie per partecipare in modo responsabile e consapevole alla società digitale, mentre la il termine “cittadinanza digitale” allarga la visione: si riferisce all’insieme dei diritti, doveri e comportamenti che definiscono la partecipazione di un individuo nella dimensione digitale. In sostanza, l’educazione civica digitale fornisce gli strumenti per essere un buon cittadino digitale.
Un articolo di Save The Children ci aiuta a inquadrare cosa significa nel concreto occuparsi di educazione civica digitale: “si intende una nuova dimensione che aggiorna ed integra l’educazione civica”. Da questo approccio aperto, deriverebbero le competenze che permetterebbero ai ragazzi, così come agli adulti, di massimizzare le potenzialità della tecnologia e minimizzare i rischi.
- Massimizzare le potenzialità della tecnologia, in ottica di educazione civica digitale, significa insegnare ai ragazzi come usarla per crescere, esprimersi, partecipare. Significa, ad esempio, imparare a cercare informazioni affidabili, usare strumenti digitali per creare contenuti originali, collaborare online a un progetto scolastico o organizzare una raccolta fondi per una causa locale. Vuol dire anche sapere come tutelare i propri dati, leggere i meccanismi degli algoritmi, capire cosa si cela dietro un like o un messaggio sponsorizzato.
- Minimizzare i rischi, invece, vuol dire ad esempio riconoscere quando un contenuto è manipolato, quando un influencer promuove un prodotto in modo aggressivo o scorretto, quando un comportamento online può sfociare in reato. Significa prevenire il bullismo digitale, evitare trappole commerciali, saper reagire di fronte a discriminazioni o hate speech. Non è solo questione di sicurezza, ma di responsabilità e presenza: abitare lo spazio digitale da cittadini, non da utenti passivi.
Citando l’articolo del Consiglio d’Europa, “l’educazione alla cittadinanza digitale (ECD) va ben oltre l’insegnamento dell’utilizzo degli strumenti digitali. Introduce valori, comportamenti, competenze e conoscenze che consentono alle persone di diventare partecipanti informati, attivi ed etici nel mondo digitale”.
Dentro le scuole: l’esperienza di Luca De Rosa e Social Warning
Abbiamo voluto ascoltare chi lavora ogni giorno su questi temi, a contatto diretto con le scuole.
Luca De Rosa è uno dei volti più attivi del movimento Etico Digitale – Social Warning, una rete di educatori digitali che promuove la cultura della consapevolezza online tra ragazze, ragazzi e adulti. Lavora come formatore e consulente, con un focus sulla sicurezza informatica e la costruzione di competenze digitali nella scuola. Il suo approccio è pragmatico, inclusivo e aggiornato: nessun allarmismo, solo strumenti concreti.
Nell’intervista che segue, Luca ci racconta perché la cittadinanza digitale non può più essere considerata un “tema accessorio” e quali sono, oggi, le sfide e le opportunità da cogliere per insegnarla davvero.
Luca, partiamo dall’inizio. Cosa ti ha spinto, personalmente e professionalmente, a occuparti di educazione digitale?
Ho sempre voluto raccontare cosa è davvero il digitale. Chi si occupa di informatica spesso viene considerato un “mago del computer”, come se chi ne sa fosse una specie di stregone, ma non è così. Ho voluto far capire che è qualcosa di accessibile. Anche prima di conoscere il movimento, volevo raccontare ai ragazzi i concetti dell’informatica rendendoli più semplici, utili, usabili.
Qual è la missione di Social Warning e in che modo cercate di portarla nelle scuole?
Vogliamo rendere i cittadini italiani molto più digitali di quello che sono oggi. Creare persone consapevoli, che utilizzano il mezzo, non che si fanno utilizzare. E ci stiamo riuscendo.
Avete costruito una rete di Digital Educator molto ampia. Che tipo di formazione hanno? E che ruolo giocano, concretamente, nel dialogo con le scuole?
Fin dall’inizio, la nostra idea non è mai stata coinvolgere persone che ogni giorno lavorano davvero con il digitale. Non vogliamo formatori teorici che parlano di digitale senza usarlo. Vogliamo professionisti che lo maneggiano quotidianamente. Chi fa parte della nostra rete? Social media manager, esperti di sicurezza informatica, chi si occupa di intelligenza artificiale o di dipendenze digitali… Io, ad esempio, mi occupo di sicurezza informatica. Siamo tutte persone allineate dal punto di vista valoriale, che hanno studiato questo mondo, continuano a studiarlo e ad aggiornarsi e che vivono il digitale quotidianamente nella loro professione.
Per questo facciamo anche formazione interna, quando possiamo. Cerchiamo di dare a tutti, anche ai nostri formatori, l’opportunità di aggiornarsi, di confrontarsi tra loro. Ognuno ha qualcosa da insegnare agli altri.
Negli ultimi anni avete osservato cambiamenti nel modo in cui i ragazzi usano il digitale? Stanno diventando più consapevoli o il rischio rimane alto?
Ho letto di recente uno studio della Polizia Postale che mi ha colpito: i ragazzi di oggi, pur essendo molto più abili degli adulti nell’uso dei dispositivi digitali, sono anche quelli che cadono più spesso nelle truffe online. È un paradosso: li chiamiamo “nativi digitali” perché sanno usare benissimo la tecnologia, ma questo non significa che siano consapevoli dei meccanismi, dei rischi o delle conseguenze delle loro azioni online.
Tendono a fidarsi con leggerezza, un po’ come succedeva con i personaggi televisivi che vendevano illusioni, tipo Wanna Marchi, per capirci.
La loro idea di successo, di realtà, di relazione è fortemente filtrata da ciò che vedono sui social. E questo è rischioso, perché i social creano una rappresentazione distorta della società: i ragazzi finiscono per modellare i loro comportamenti su ciò che vedono lì, convinti che quella sia la normalità.
Quindi sì, possiamo dire che sono tecnicamente competenti, in certi casi anche più di noi adulti. Ma manca la consapevolezza. E questa è la vera fragilità.
L’esperienza nelle classi con Social Warning conferma questi pensieri?
Direi di sì. Dopo ormai sette anni che incontriamo i ragazzi nelle classi, posso dire che abbiamo notato che c’è stato un cambiamento positivo rispetto a come i ragazzi utilizzano gli smartphone, i PC, eccetera. E questo è un chiaro segnale. C’è un po’ più di consapevolezza. Non voglio essere totalmente negativo ma neanche sembrare troppo ottimista: per molti ragazzi il digitale è ancora solo uno strumento di svago. Fanno fatica a coglierne le implicazioni a lungo termine, soprattutto quando si tratta della propria immagine e reputazione online.
Molti non si rendono conto che ciò che si pubblica, una foto, un video, un commento, può restare in rete per sempre. È come se non percepissero il confine tra il “qui e ora” e le conseguenze future.
Prendiamo un esempio classico: la foto da ubriachi a una festa. Niente di nuovo, siamo stati tutti ragazzi. Ma oggi quelle immagini finiscono online e possono diventare permanenti, anche se sono nate per gioco. Il problema non è il gesto in sé, ma la leggerezza con cui si condivide tutto. C’è una fiducia cieca nei confronti delle app, dei social, delle persone a cui si inviano certi contenuti. Ed è proprio questa mancanza di consapevolezza che li rende vulnerabili. Ma non è colpa loro: spesso non hanno gli strumenti per capire cosa sta succedendo.
Noi lo diciamo sempre: non è una questione di cattiva volontà, ma di “ignoranza” nel senso letterale del termine. Ignorano, cioè non sanno. Ed è qui che entra in gioco il nostro lavoro e quello di tutte le realtà che si occupano seriamente di educazione digitale. Aiutarli a vedere cosa c’è sotto la superficie, e farlo senza giudicare.
La Giornata Europea della Cittadinanza Digitale
Grazie al vostro impegno, nel 2024 è stata istituita ufficialmente la Giornata Europea della Cittadinanza Digitale. Perché è così importante avere una ricorrenza dedicata?
Sì, siamo davvero orgogliosi di aver raggiunto questo grande obiettivo: abbiamo lavorato tanto per l’istituzione della prima Giornata a livello nazionale dedicata al digitale, all’uso consapevole delle tecnologie, all’educazione civica di giovani e adulti, e ci siamo riusciti.
La Giornata per la Cittadinanza Digitale è il 22 ottobre. Abbiamo chiesto al governo una legge per spingere a parlare di educazione digitale nelle scuole, nei TG, almeno un giorno all’anno, ma ogni anno.
Se ti trovassi davanti a un gruppo di insegnanti che vogliono organizzare qualcosa per il 22 ottobre ma non sanno da dove cominciare, cosa consiglieresti loro?
Il problema è che molti insegnanti, purtroppo, partono da zero su questi temi. E finché non capiscono davvero come usare il digitale a scuola, anzi lo demonizzano, diventa difficile fare qualunque cosa.
Se l’idea di partenza è che “il telefono è solo una distrazione”, allora che tipo di educazione possiamo offrire? Come possiamo insegnare a usarlo bene, se per primi lo rifiutiamo?
Non servono strumenti straordinari: basta anche solo saper usare bene un motore di ricerca e si possono costruire tantissime attività didattiche, persino sull’intelligenza artificiale.
C’è un errore che vedi fare spesso, da parte degli adulti o delle istituzioni, quando si parla di educazione al digitale?
Sottovalutarla. Anche se negli ultimi tempi c’è un po’ più di attenzione, secondo me la stiamo ancora sottovalutando. Soprattutto gli effetti psicologici che questi strumenti hanno su di noi e, in particolare, sui bambini e sui ragazzi che sono un target molto più sensibile.
Come immagini il futuro della cittadinanza digitale nelle scuole italiane? Cosa serve, oggi, per renderla una parte stabile e strutturale del percorso educativo?
L’educazione civica digitale non dovrebbe essere un’aggiunta forzata ai programmi scolastici, fatta solo perché è obbligatoria. Va integrata nella didattica in modo autentico ed efficace, come parte di un percorso che aiuta studenti e docenti a crescere insieme.
Io la considero uno strumento strategico: ci può rendere più competitivi, più preparati, più allineati con le sfide del presente. Il problema è che, in Italia, siamo ancora indietro.
Eppure il digitale è ormai indispensabile: senza, rischiamo di perdere terreno, non solo a scuola, ma come sistema Paese. Altri Stati stanno già investendo in questa direzione. Allora perché non farlo anche noi, ma con intelligenza, visione e metodo?
I temi fondamentali dell’Educazione Civica Digitale: il Sillabo del MIM
Le parole di Luca tracciano un quadro chiaro: la scuola non può permettersi improvvisazioni.
Servono riferimenti solidi, strumenti flessibili e contenuti ben progettati. È proprio con questo intento che il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato il Sillabo sull’Educazione Civica Digitale sul portale ScuolaDigitale, un documento strategico pensato per guidare docenti e dirigenti nella costruzione di percorsi verticali, coerenti e sostenibili.
Più che un elenco di contenuti, il Sillabo è una bussola: indica le direzioni da esplorare, suggerisce priorità e fornisce risorse. Vediamo nel dettaglio cosa propone e come può essere integrato nella progettazione scolastica, dal PTOF alle attività didattiche quotidiane.
Il sillabo è affiancato da un set di risorse concrete: una raccolta di OER (Open Educational Resources), sviluppata in collaborazione con esperti del settore e realtà attive sui temi trattati. Strumenti pensati per facilitare il lavoro dei docenti e rendere più accessibile il percorso agli studenti.
Ogni scuola potrà integrare i contenuti del sillabo nel proprio Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), con un’indicazione chiara: considerare tutte le aree proposte. Ma resta piena la libertà nella progettazione dei curricoli verticali, che potranno essere adattati alle specificità di ciascun contesto.
Secondo il Ministero dell’Istruzione e del Merito l’educazione civica digitale è una nuova dimensione che aggiorna ed integra l’educazione civica, finalizzata a consolidare ulteriormente il ruolo della scuola nella formazione di cittadini in grado di partecipare attivamente alla vita democratica.
Un approccio integrato: dalla teoria alla pratica quotidiana
Le sfide evidenziate in questo articolo trovano risposta in un approccio strutturato che integri fondamenti normativi, strategie pratiche e testimonianze dal campo. Per comprendere appieno perché l’educazione alla cittadinanza digitale richiede “visione, coordinamento e strumenti pedagogici aggiornati”, è essenziale conoscere il quadro teorico e legislativo che definisce questo ambito educativo, dalle indicazioni europee alla normativa italiana.
Allo stesso tempo, per trasformare le competenze digitali da “dichiarazione d’intenti” a realtà educativa, serve tradurre questi principi in attività concrete e quotidiane che coinvolgano studenti, docenti e famiglie. Solo così possiamo passare dall’approccio difensivo a quello costruttivo che forma davvero “cittadini capaci di agire nel presente, online e offline”.
Educare nel digitale è una sfida sistemica
Educare alla cittadinanza digitale non è quindi un’urgenza pedagogica passeggera. È una necessità strutturale, che coinvolge ogni aspetto dell’esperienza scolastica. Dalla formazione dei docenti all’alleanza educativa con le famiglie, dalla revisione dei curricoli all’adozione di metodologie attive.
Serve una scuola che sappia accompagnare i ragazzi a “stare nel digitale” in modo consapevole, senza paura ma con rigore. Una scuola che riconosca che l’identità, la partecipazione, la responsabilità si giocano anche e sempre più online.
Il Sillabo è un punto di partenza. Le reti come Social Warning offrono alleanze concrete. L’educazione civica digitale può diventare un terreno fertile di sperimentazione, riflessione e crescita.
Ma serve fare un passo: passare dalla buona volontà alla progettazione. Da qualche ora “di emergenza” a percorsi trasversali, condivisi e valutabili. La Giornata Europea della Cittadinanza Digitale può essere l’occasione per cominciare.