Assegnare o no i compiti a casa? Questo è un dibattito mai sopito, un tema spinoso sul quale i pedagogisti e gli educatori si confrontano da tempo, tra chi è scettico sulla loro utilità e chi, invece, ne promuove la necessità.
Una fotografia della situazione italiana
Prima di capire la posizione degli esperti a riguardo, analizziamo la situazione italiana: il capitolo “Processi formativi” del 58esimo Rapporto Censis 2024, mostra che i quindicenni italiani dedicano più tempo ai compiti a casa rispetto ai coetanei del resto d’Europa, con una media di 2,3 ore al giorno.
Dal rapporto emerge che il 63,7% dei dirigenti scolastici ritiene che il sistema scolastico italiano necessiti di una regolamentazione in merito, ancora assente, se si escludono le circolari indicative risalenti agli anni ’60. La maggior parte di essi sostiene che i compiti siano fondamentali nella preparazione dell’allievo, ma il 98,3% pensa che i docenti debbano investire maggior tempo per migliorare il metodo di studio casalingo. Il 51% dei DS crede, inoltre, che gli insegnanti diano per scontata la possibilità da parte degli alunni di ricevere aiuto dai genitori nello svolgimento dei compiti.
Cosa ne pensa il MIM?
L’articolo 31 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989, riconosce che il bambino ha diritto al riposo, al tempo libero e di gioco.
Su questa scia si posiziona anche il MIM (Ministero dell’istruzione e del merito), che nel tempo (precedentemente MIUR), ha emanato diverse circolari a riguardo:
- n.62/1964 riconosce i compiti come una forma di lavoro indispensabile se assegnati con un carico opportuno;
- n. 431/1965 specifica che un carico di studio eccessivo potrebbe nuocere alla salute dello studente;
- n. 177/1969 raccomanda di non assegnare i compiti per il giorno dopo a quello festivo.
In tempi più recenti, l’ex ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Francesco Profumo, nel 2012, ha chiesto di limitare i compiti per lasciare i ragazzi liberi di seguire altri stimoli extra-scolastici. “Una parte di compiti ci vuole, perché il fatto di affrontare un argomento in maniera più approfondita rispetto a quello che si fa a lezione aiuta gli studenti a comprendere meglio la materia”, ha specificato l’ex ministro, aggiungendo: “È fondamentale che i compiti a casa non siano un peso, ma uno stimolo per la curiosità e l’apprendimento”. Particolarmente critica invece circa i compiti estivi nello specifico, è stata l’ex ministra Maria Chiara Carrozza, che nel 2013 si è espressa affermando che “non serve a niente imporre tonnellate di versioni di latino o decine di problemi da risolvere. Vengono smaltiti meccanicamente, senza concentrazione”, sottolineando invece l’importanza della lettura.
Pro e contro dei compiti a casa
Gli esperti hanno opinioni divergenti sul tema dei compiti a casa, proprio perché i pro e i contro da valutare sono molteplici.
Coloro che vedono i compiti a casa come necessari, affermano che essi sono fondamentali per consolidare il lavoro svolto in classe, che altrimenti non sarebbe memorizzato a dovere. Consentono di dare una continuità didattica con ciò che verrà svolto il giorno successivo a scuola. Altro vantaggio riconosciuto alle consegne pomeridiane è il fatto di aiutare lo studente a sviluppare autonomia, sia nella gestione del tempo che dello spazio dove essi verranno svolti. Misurarsi con i compiti pone l’alunno di fronte a nuovi interrogativi e a delle problematiche magari non riscontrate in classe, che lo spingono ad approfondire gli argomenti. Proprio attraverso i compiti gli insegnanti possono comprendere meglio quali sono le difficoltà della classe in riferimento ai temi specifici trattati: solo nel momento in cui l’alunno si trova da solo di fronte agli argomenti si capisce l’effettivo apprendimento.
Chi, invece, vede compiti in un’ottica negativa, lo fa affermando che comportino ansia e stress, dovuti a diversi motivi. Se per alcuni studenti i compiti assegnati possono sembrare relativamente facili, per altri possono risultare particolarmente difficili: questo perché non tutti gli alunni si trovano sullo stesso livello. Lo stress viene causato anche dal fatto che svolgere i compiti toglie inevitabilmente tempo per altre attività, come ad esempio lo sport. Obbligano, dunque, i ragazzi e i bambini ad una maggiore sedentarietà a scapito del movimento, fondamentale nell’età della crescita.
Il ruolo del contesto familiare
Una ricerca dell’APA (American Psychological Association), sottolinea che i bambini provenienti da contesti disagiati incontrano maggiori difficoltà nello svolgimento dei compiti.
I bambini che vivono in contesti più abbienti dispongono di risorse importanti, quali computer, connessione Internet e aree dedicate esclusivamente allo svolgimento dei compiti. In questi casi, spesso, le famiglie risultano avere un buon grado di istruzione e disponibilità per aiutarli.
Il ruolo dei genitori, seppur fondamentale nel seguire i figli durante lo svolgimento dei compiti, non deve essere però quello di sostituirsi ad essi, ma di accompagnarli facilitandone l’esecuzione senza causare ansia.
Uno studio etnografico sulla relazione genitore-figlio durante i compiti
Proprio in riferimento alla fondamentale figura del genitore durante il momento compiti, il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Bologna ha condotto un interessante studio etnografico che riguarda lo svolgimento delle consegne scolastiche a casa.
Lo studio, condotto tra il 2015 e il 2016 dalla prof.ssa Letizia Caronia, ha avuto l’obiettivo di osservare le relazioni genitore-figlio durante il momento dei compiti. L’analisi, realizzata tramite video-ricerca su quattro bambini, mostra che, innanzitutto, l’attività dei compiti si suddivide in sotto-attività fondamentali:
- Organizzazione del tempo e dello spazio per svolgerli
- Richiesta da parte dei bambini del significato di parole sconosciute
- Richiesta da parte del genitore di mostrare ciò che il figlio ha appreso
- Controllo dei compiti da parte del genitore
I video mostrano che i genitori delle famiglie considerate nello studio sono definibili “istituzionalmente competenti”: questo vuol dire che alla richiesta dei figli di spiegazioni e chiarimenti, i genitori possono adottare due modalità specifiche, in alcuni casi rispondono immediatamente, fornendo esplicitamente la soluzione, in altri conducono il figlio alla risposta attraverso ragionamenti o il consiglio di consultare vocabolari.
I genitori in questione, definiti appunto competenti, dimostrano di accompagnare i figli ma di non sostituirsi ad essi nello svolgimento dei compiti assegnati. I compiti diventano quindi un “oggetto transcontestuale”, che crea un collegamento tra scuola e famiglia, un ponte fondamentale per il bambino, in grado di aiutare a consolidare ciò che è stato appreso in classe.
Difficile, in conclusione, schierarsi su una posizione o su un’altra: i compiti mostrano di essere uno strumento importante per la consolidazione dell’apprendimento dello studente. D’altro canto, è innegabile che a volte siano fonte di malumore o addirittura stress negli alunni. Probabilmente, assegnare compiti efficaci, che vadano a stimolare il ragionamento e la riflessione, senza annoiare, potrebbe essere una soluzione ottimale, tenendo sempre presente il carico di compiti assegnato, che deve variare sulla base dello sviluppo intellettuale degli alunni relativamente all’età.