I dati relativi ad ansia e stress nell’età scolastica e universitaria sono tristemente in aumento (puoi approfondire con l’articolo Dilaga l’allarme ansia tra gli studenti universitari: la situazione in USA e in Italia). In questo periodo storico, educare gli alunni a non sentirsi sopraffatti dalle emozioni, risulta importante come mai.
Educare alle emozioni può aiutare a diminuire la produzione di cortisolo (l’ormone dello stress) e migliorare il lavoro dei neuroni. Ma non solo, la consapevolezza delle emozioni è un potente strumento per combattere le discriminazioni e il bullismo, grazie all’allenamento all’empatia.
Tra le cause a cui ricondurre il disagio dei bambini e degli adolescenti c’è proprio la difficoltà a legittimare e gestire le emozioni. L’alfabetizzazione emotiva appare, dunque, come la base per migliorare il benessere della società, lavorando sulla consapevolezza del sé. La scuola, insieme alla famiglia, assume dunque un ruolo importante nell’educazione dell’emotività.
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L’intelligenza emotiva
I primi a parlare di “intelligenza emotiva” furono gli psicologi Peter Salovey e John D. Mayer, descrivendola come “la capacità di percepire emozioni, accedere ad esse e saperle generare per sostenere il pensiero razionale, comprendere sentimenti altrui, e saperli gestire in modo da promuovere la crescita intellettuale ed emotiva”.
È stato però Daniel Goleman a rendere l’espressione di dominio pubblico, con la pubblicazione del libro guida “Intelligenza emotiva”, nel 1995. Il libro indica come sopravvivere nella società odierna, sviluppando le capacità emotive, considerate vere e proprie competenze per conoscere meglio sé stessi e gli altri. La consapevolezza delle emozioni è la chiave per combattere l’insicurezza, avere successo personale e professionale, e migliorare la propria salute. Il successo nella vita, specifica l’autore nel libro, “non dipende dalla nostra intelligenza classica ma dalle nostre competenze emotive e sociali”. Essere intelligenti emotivamente vuol dire saper affrontare le situazioni negative che tutti nella vita ci troviamo di fronte.
Un’intelligenza che va acquisita sin dai banchi di scuola grazie all’esercizio, “il modo in cui l’insegnante gestisce la classe (…) è per sé un modello, una lezione di fatto, di competenza emozionale o della sua mancanza” specifica Goleman.
Cos’è un’emozione?
“Non dimentichiamo che le piccole emozioni sono i grandi capitani della nostra vita e che obbediamo a loro senza saperlo” diceva Vincent Van Gogh.
Siamo sicuri di sapere cos’è esattamente un’emozione?
Si tratta di una risposta istintiva e immediata del sistema nervoso a degli stimoli interni (come un pensiero) o esterni (come un rimprovero). Si suddividono in primarie (paura, rabbia, disgusto, tristezza, sorpresa, gioia), e secondarie (vergogna, gelosia, imbarazzo, senso di colpa).
L’educatore ha il compito di far capire agli alunni che non esistono emozioni giuste e sbagliate, l’obiettivo è averne consapevolezza in modo da non esserne sopraffatti, ed essere in grado di interrogarsi sulla provenienza di ognuna di esse (approfondisci con Mindfulness in classe)
Perché insegnare l’intelligenza emotiva a scuola
L’intelligenza emotiva è stata inserita nell’elenco delle soft skills dell’Organizzazione mondiale della Sanità del 1993, riconosciuta come la capacità di leggere, interpretare e gestire le proprie e altrui emozioni, per instaurare relazioni sane, profonde e arricchenti.
Secondo le direttive dell’OMS, consente di migliorare il successo formativo, prevenendo gli analfabetismi funzionali, la povertà educativa e la dispersione scolastica. È un modo per coinvolgere gli alunni più difficili e mitigare, inoltre, il fenomeno dei NEET (coloro che non studiano e non cercano lavoro), in cui l’Italia vanta una delle prime posizioni.
A sottolineare la necessità dell’insegnamento dell’intelligenza emotiva è stato l’Unesco, che l’ha definita come la più grande conquista della modernità dopo Internet.
La scuola può ricoprire un ruolo chiave nell’aiutare i ragazzi ad affrontare il disorientamento fornendo loro gli strumenti per superare i momenti critici, grazie all’integrazione delle competenze non cognitive nei percorsi disciplinari. La conoscenza emotiva è un’opportunità per risolvere il disagio giovanile, spesso causa di disturbi alimentari, depressione, dipendenze da alcool e sostanze, oltre che di un cattivo rendimento scolastico.
La scuola ha uno sguardo a lungo raggio, non solo istruire dei bambini ma formare degli adulti. Educare ad un atteggiamento consapevole della propria interiorità e ad un’ottica dell’inclusività, rappresentano le basi per crescere degli adulti responsabili.
La sperimentazione nelle scuole italiane
Seppur con un po’ di ritardo rispetto agli altri Paesi, anche l’Italia ha avviato, proprio dall’anno scolastico in corso, una sperimentazione relativa alla valorizzazione delle emozioni nei programmi didattici. Con la legge 2782/2022 è stata avviata la sperimentazione su base volontaria, della durata di 3 anni, per i ragazzi nei cicli di studio tra i 6 e i 16 anni.
Il progetto non prevede ore scolastiche aggiuntive, ma una revisione dei metodi d’insegnamento, per sviluppare delle metodologie basate sull’intelligenza emotiva. Per tale motivo il progetto prevede che il primo anno sia finalizzato alla preparazione degli insegnanti, e gli ultimi due al lavoro con gli alunni.
“La scuola italiana deve aprirsi alle sfide della modernità. Abbiamo un gap formativo in confronto agli altri Paesi europei. La globalizzazione impone sistemi culturali innovativi e flessibili e questa proposta di legge è una grande opportunità per una grande rivoluzione”, sottolinea Vittoria Casa, Presidente della Commissione cultura, scienza, istruzione presso la Camera dei Deputati.
Gli esempi famosi
In molti Paesi l’educazione emotiva è già una realtà consolidata. Il modello più noto è quello svedese, che ha istituito nel 1990 il Klassens tid, l’ora di empatia nelle classi; la Spagna ha invece introdotto l’ora di intelligenza emotiva per sviluppare la capacità di problem solving al fine di rendere autonomi e responsabili gli allievi; in Ungheria la materia di etica è ormai obbligatoria.
Negli USA, l’università YALE, ha istituito nel 2018 il corso di Psychology and the good life, che in breve tempo è diventato il più popolare, frequentato da 1 studente su 4. Recentemente il corso è stato attivato anche online con il nome di scienza del benessere. Le lezioni, che hanno una durata di 6 settimane, seguite da circa 4 milioni di persone al mondo, ha aperto la strada alla versione per adolescenti, The science of well-being for teens, programmata per questa estate.
Le attività da svolgere in classe
Quali sono gli insegnamenti da mettere in pratica in classe? Si tratta di attività che coinvolgono gli studenti come in un gioco, ma che li aiuta a guardarsi dentro spingendoli alla riflessione:
- Appelli speciali: al momento dell’appello, si può invitare lo studente a comunicare, oltre alla presenza, quale emozione prova sul momento. Con il tempo, è probabile che anche gli studenti più reticenti parteciperanno alla condivisione delle emozioni
- Scatole dei pensieri, predisporre due diverse scatole, nelle quali gli studenti saranno invitati ad inserire dei bigliettini anonimi con la trascrizione di pensieri positivi in una, e negativi nell’altra. Successivamente, ci si dispone a cerchio, si aprono i bigliettini per riconoscersi e confrontarsi nelle emozioni altrui
- Emozioni in colori e parole, chiedere agli studenti di chiudere gli occhi e pensare ad un momento, bello, brutto, pauroso, difficile, insolito, per poi confrontarsi in un circle time
- Che faccia hai? Dividere un foglio in due colonne, nella prima trascrivere un elenco di emozioni, nell’altra le caratteristiche dei sintomi suscitati dalle emozioni (espressioni del volto, sudorazione, battito cardiaco accelerato…). L’obiettivo è di stimolare all’empatia, cercando di riconoscere le emozioni degli altri dalle caratteristiche corpo
- Tempesta di emozioni, dividere la classe in gruppi, ognuno dei quali avrà 5 minuti di tempo per scrivere il maggior numero di emozioni, aggiungendo cosa si prova per ognuna di esse. L’insegnante guiderà dunque un confronto, aiutando ad individuare le emozioni primarie e secondarie, per capirne la differenza e la necessaria consapevolezza che richiedono
- Che emozione! Il docente inserisce in una scatola dei foglietti con su scritte le diverse emozioni. Ogni bambino pescherà un foglietto e sarà invitato a parlare delle eventuali circostanze nelle quali ha provato quella specifica emozione, o se ha riguardato un amico. L’obiettivo del gioco è insegnare a riconoscere le emozioni proprie e altrui per facilitare lo sviluppo di capacità socio-relazionali.
Capire, comprendere e affrontare le emozioni: e noi siamo capaci?
Qualsiasi educazione si basa anche su modelli da prendere come esempio ed emulare. Vuol dire che se noi adulti ci dimostriamo sensibili e consapevoli nel gestire le emozioni nostre e altrui, i più piccoli impareranno a farlo molto più spontaneamente. Le dottoresse C. Picinini (psicoterapeuta), E. Bellazzini (psicoterapeuta) e G. Tomatis (psicomotricista e fisioterapista) hanno affrontato questo tema delicato in un meeting speciale per accrescere questo tipo di sensibilità con consigli preziosi per la vita di tutti i giorni. Per approfondire vi consigliamo questo articolo in cui raccontano le emozioni principali, come riconoscerle e come comportarsi.