“Ho perso le parole, o forse sono loro che perdono me”, cita una canzone di Ligabue, che, probabilmente, gli appartenenti alla Generazione Z, neanche conosceranno. E proprio sul rapporto tra parole e “zedder”, negli ultimi anni, si riflette molto.
Ogni linguaggio ha la necessità, nel tempo, di adeguarsi ai cambiamenti socio-culturali della società, senza rischiare, al tempo stesso, di impoverirsi da una generazione all’altra.
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La lingua della Generazione Z si basa sull’immagine
Ogni epoca è caratterizzata, più o meno, da uno slang giovanile, pensiamo, ad esempio, ai “paninari” degli anni ’80, come sottolineato da Mattia Fumagalli, docente universitario e booktuber. La novità, per quanto riguarda i nativi digitali (nati fra il 1997 e il 2012), è proprio la presenza del web. Internet, e in particolare i social media, rendono la diffusione dello slang capillare e nettamente più veloce, tanto da contribuire alla creazione di veri e propri tormentoni linguistici.
La massiccia diffusione di Instagram e TikTok, tra i giovanissimi, ha dimostrato che il linguaggio della Generazione Z è fortemente basato sull’immagine. “…questa generazione segna un’inversione di tendenza, si sta passando dal boom della scrittura al ritorno all’oralità, passando per l’uso dell’immagine”, spiega Alice Avallone, ricercatrice di small data (le piccole tracce che lasciamo online, ad esempio con un commento o una condivisione), fondatrice dell’Osservatorio di antropologia digitale Be Unsocial.
Il trucco della Generazione Z è di usare un linguaggio criptico, pensiamo alle emoji: molte hanno un significato specifico, (ribaltato rispetto a ciò che può sembrare all’apparenza), e per questo considerabili come dei veri e propri codici, che hanno l’obiettivo di escludere chi non fa del gruppo. Creare uno slang permette di rafforzare il concetto di ingroup e outgroup, teorizzato dallo psicologo Henri Tajfel, secondo cui la realtà viene percepita proprio attraverso una categorizzazione mentale, “fai parte del mio gruppo” o “non ne fai parte”: nello specifico, i gruppi corrispondono alle generazioni, giovanissimi e boomer.
L’opinione dell’Accademia della Crusca
Sul gergo della Gen Z, è intervenuta l’Accademia della Crusca, con la raccolta “L’italiano e i giovani: come scusa? Non ti followo”, definendo il gergo dei giovanissimi come caratterizzato da una minore creatività e originalità rispetto ai precedenti.
La Generazione Z si affida a detti altrui, tradizionali, tanto che il 70% del gergo degli adolescenti raccolto dai linguisti dell’Accademia, dal 2018 al 2022, risulta repertorio noto, ampliato solo dall’aumento dell’utilizzo degli anglicismi, che i giovanissimi di oggi masticano meglio di qualsiasi altra generazione (ad esempio “Cringe”, “boomer”, “snitchare”, “crush”, “shippare”, “trigger”).
Da una ricerca condotta da Skuola.net, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, il Ministero degli Esteri, l’Accademia della Crusca e CRI (Comunità Radiotelevisiva italofona), condotta su 2500 giovani tra 11 e 25 anni, è emerso che 2 su 3 ammettono di usare le parole gergali non solo tra coetanei, ma anche con i docenti a scuola e con i genitori. 1 su 5 dichiara di inserirli normalmente in qualsiasi tipo di discorso, il 47% solo quando “scappano” involontariamente, 7 ragazzi su 10 sostengono che andrebbero inseriti nel dizionario.
La situazione nelle aule scolastiche
Le prove Invalsi 2021 hanno evidenziato che il 44% degli studenti del quinto anno della scuola superiore, non possiede un livello accettabile di italiano, a fronte del 35% del 2019. “Innanzitutto ci vorrebbe una scuola che spieghi bene una questione fondamentale come quella del corretto uso del registro da utilizzare, e che consolidi la consapevolezza che non soltanto c’è una differenza tra quando si parla e quando si scrive (e quando si scrive sui social), ma c’è anche una differenza legata al contesto e al destinatario”, spiega Marco Biffi, professore presso l’Università di Firenze, e responsabile web dell’Accademia della Crusca.
Il prof. Luca Serianni, illustre linguista e filologo dell’Università La Sapienza, socio dell’Accademia della Crusca, dell’Accademia dei Lincei e vicepresidente dell’Associazione Dante Alighieri, scomparso recentemente, ha affermato che la scuola odierna non abitua i ragazzi alla lettura, considerabile come il vero cardine per padroneggiare l’uso del linguaggio. “Manca l’abitudine alla lettura di testi saggistici, che l’editoria pensa per il cosiddetto “lettore colto” (e non sto parlando di testi particolarmente ardui). E questo produce delle conseguenze generali anche sul modo di pensare”, leggiamo dalle parole del prof. Serianni.
A questo, va aggiunto il fatto che, con l’utilizzo dei social, e più in generale, con la fruizione di contenuti tramite il web, si perde la capacità critica che porta poi alla produzione di contenuti scolastici scadenti. Basti pensare che gli strumenti che gli zedder più utilizzano per comunicare sono i messaggi vocali, i podcast e gli assistenti vocali, che impigriscono ancora di più la capacità di scrittura.
Consigli per arricchire il vocabolario degli alunni
Gli insegnanti hanno un ruolo chiave nello spingere i ragazzi, spesso pigri e indolenti, ad arricchire il proprio lessico. Troppo spesso in aula, ci si limita a chiedere il significato delle parole che incontrate agli insegnanti, senza alcun sforzo cognitivo che li aiuti, effettivamente, a fare un upgrade delle loro conoscenze linguistiche.
Le strategie da mettere in atto per aiutarli a migliorare in tale senso, possono essere varie:
- Effettuare numerose letture in aula, diversificando i testi (libri, giornali, riviste, saggi)
- Promuovere delle sfide fra gli alunni nell’individuare più sinonimi dei vocaboli utilizzati frequentemente
- Memorizzare termini meno usuali giocando con delle flashcards (si tratta di fogli o cartoncini in cui, da una parte viene scritta una domanda, dall’altra la risposta). Sono particolarmente utili per memorizzare nuovi vocaboli
- Chiedere agli alunni di controllare, a turno, sul dizionario, ogni singola parola non conosciuta che viene incontrata durante la lezione
Previsioni per il futuro
Si conoscono meno parole, e i ragazzi sono sempre più abituati al copia-incolla del pc.
Il prof. Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca dal 2014, precisa che “È probabile che ci sia ancora un aumento delle parole forestiere, ovviamente parole inglesi. È probabile che ci sia una semplificazione di molte forme sintattiche, ancora una diminuzione del congiuntivo e forse anche del futuro (“domani vado” al posto di “domani andrò”); si profila una semplificazione del sistema dei pronomi, cioè la stabilizzazione e generalizzazione anche nella comunicazione formale di forme come gli per indicare a lei – a lui – a loro. Sostanzialmente, comunque, l’italiano dovrebbe mantenere un saldo rapporto con la propria tradizione colta, per quanto oggi ciò possa costituire un impaccio. I destini dell’italiano si giocano non tanto su piccoli cambiamenti lessicali, morfologici o sintattici, ma sul ruolo che la società italiana intende assegnare alla propria lingua nazionale, perché i veri motivi di crisi stanno proprio in questo: nel fatto che molte volte gli italiani sono i primi (e i soli) a mettere da parte la propria lingua. Si tratta di una colpa di cui si macchiano di fronte alla storia”.