Perché studiare (o no) nelle università americane dell’Ivy League

Pro e contro delle più prestigiose università americane. Ma esiste anche in Italia una lega di università d’élite da frequentare?

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La scelta universitaria non è mai cosa facile, e negli Usa, (come abbiamo già visto precedentemente sul nostro blog: come pianificano la scelta dell’università gli studenti americani?), è un percorso lungo, che parte già durante il periodo del liceo.

Siamo abituati a vedere nei film gli studenti delle high school alle prese con voti e punteggi per assicurarsi l’immatricolazione in una delle università dell’Ivy League, gli istituti accademici più prestigiosi a livello mondiale.

 

Cos’è l’Ivy League

Inizialmente concepita come un’associazione sportiva di atleti universitari, fondata nel 1954, oggi comprende le 8 università più prestigiose della costa orientale americana. L’espressione “Ivy League” fu utilizzata per la prima volta dal cronista del New Herald Tribune, Stanley Woodward. L’idea nasce dal termine “Ivy” (in italiano edera), che ricopre i muri di molti edifici delle università statunitensi. La pianta ha un alto valore simbolico, viene infatti piantata nel “Class Day” (il primo giorno di primavera), dalla classe che ha completato i corsi.

Ancora oggi vi fanno parte solo gli istituti con un’ottima tradizione sportiva, per questo ne risultano estranee altre, altrettanto prestigiose. Ad esempio, nella classifica 2023 QS World University Rankings (pubblicata annualmente dalla società di consulenza e ricerca educativa Quacquarelli Symonds), il primo istituto a livello mondiale è il Massachusetts Institute of Technology (MIT). Altrettanto in buona posizione, rispettivamente quinta e decima, tra le università americane, troviamo la Stanford University e l’University of California.

In un primo momento, nel clan delle élite accademiche, erano ammessi solo figli di famiglie facoltose, ma dagli anni ’60, grazie ai movimenti per i diritti civili e femminili, l’immatricolazione è diventata più flessibile.

 

Le 8 “magnifiche”

Secondo la classifica annuale di U.S News & World Report, le università accademiche che hanno l’onore di entrare nel noto ranking, sono le seguenti, ognuna specializzati in determinate aree di studio:

  • Harvard University, fondata nel 1636 a Cambridge nel Massachusetts. Ben 8 presidenti degli Stati Uniti e vari nomi di Premi Nobel, si sono laureati nelle aule dell’accademia. Tra le facoltà in cui è più specializzata vi sono le scienze sociali (antropologia e sociologia), scienze politiche, storia ed economia.
  • Princeton University, istituita nel 1746 nel New Jersey, è tra le università che vanta un alto numero di allievi diventati Premio Nobel e giudici della Corte Suprema. I corsi più rinomati sono quelli di computer analysis, ingegneria, economia e filosofia.
  • Yale University, si trova nel New Haven, nel Connecticut, nata nel 1701, specializzata in scienze politiche, psicologia, diritto e storia. Molti sono i nomi importanti tra i laureati a Yale, come Bill e Hillary Clinton.
  • University of Pennsylvania (UPenn), fondata nel 1740 a Philadelphia, riconosciuta particolarmente valida per gli studi in economia, contabilità e medicina. Tra ex alunni “famosi” spicca il nome di Elon Musk.
  • Dartmouth College, situate ad Hannover, nel New Hampshire, dal 1769, è nota per le facoltà di neuroscienze, scienze politiche, matematica, ingegneria, economia.
  • Cornell University, fondata nel 1865 a Ithaca, New York, specializzata in biologia, architettura, ingegneria.
  • Brown University, dal 1764, a Providence, Rhode Island, è nota per il corpo studentesco impegnato politicamente, di cui, ad esempio, ha fatto parte nel passato il Presidente J. F. Kennedy. Ambita per gli studi in matematica, biologia e ingegneria.
  • Columbia University, nata nel 1754 a New York, riconosciuta tra le migliori nelle facoltà di filosofia, psicologia e inglese. Tra i laureati troviamo il Presidente Barack Obama, lo scrittore J. D. Salinger, e il regista Stanley Kubrick.

 

Perché studiare in una università della Ivy League

Le università che appartengono all’Ivy League sono blasonate, hanno un nome importante che echeggia a livello mondiale.

Sono particolarmente attive nella ricerca, grazie ai finanziamenti degli iscritti e alle esose rette. L’elevato costo della frequentazione va considerato come un investimento, il ROI (ritorno sull’investimento) è generalmente notevole per gli studenti, non appena si immettono nel mercato del lavoro: gli stipendi iniziali di coloro che hanno frequentato una delle università della lega è più alto rispetto alla media statunitense.

Si avvalgono di una potente rete fra gli ex-studenti che, dopo la laurea, può essere utile nel miglioramento della propria carriera professionale. Il semplice nome dell’ateneo conferisce un alto valore alla laurea, che apre facilmente del mondo del lavoro. Dalle aule delle università dell’Ivy League escono, infatti, il maggior numero di futuri politici e dirigenti economici degli Stati Uniti.

 

Il lato oscuro dell’Ivy League

Le critiche al sistema della lega universitaria più conosciuta al mondo, non mancano. Sotto esame è, spesso, il meccanismo delle donazioni da parte delle famiglie più agiate, che rendono scontata l’ammissione di figli e nipoti. L’accusa è di tenere in considerazione la ricchezza e il vantaggio di partenza determinato dall’ambiente famigliare, piuttosto che la meritocrazia, basata sul curriculum studiorum dell’allievo.

Ed è proprio con il denaro che vengono assunti i docenti più preparati e i nomi più titolati, invogliati anche dalla non scontata possibilità di fare ricerca liberamente, senza preoccupazioni relative al reperimento di fondi.

Nell’articolo “What Harvard taught Larry Summer. Èlite universites serve the faculty better than students. Don’t mess” pubblicato su Time nel 2006, l’autore, Nicholas Lemmann, scrive che Larry Summer, preside di Harvard dall’83 al ’91, “saccheggiò” i migliori professori dalle altre università con il denaro. Ad Harvard, infatti, i docenti sono tra i più retribuiti per appena 28 settimane di lavoro l’anno. Nel testo, specifica l’autore, alla richiesta da parte del preside di rinnovare i programmi di studio, la maggior parte dei professori ha negato il proprio contributo. Secondo il corpo docente, il nome dell’università conferisce un tale prestigio alla laurea che si ottiene, che i corsi non necessitano di miglioramenti.

 

Come fare domanda per l’iscrizione (anche dall’Italia)

Per tentare l’iscrizione ad una delle università dell’Ivy League è necessario un progetto di lungo termine, sia per gli studenti americani che stranieri. Il tasso di esclusione di questi atenei è particolarmente elevato. Il “New York Times” scrive che il prestigio di un’università sta nel dire “no”, e quelle dell’Ivy League, nel 2019, hanno raggiunto il 94% di rifiuti.

I passi da compiere per formalizzare la richiesta di ammissione sono vari ed impegnativi:

  • Inviare un saggio informativo (250-650 parole)
  • Produrre dei supplemental essays (ulteriori saggi specifici richiesti)
  • Reperire certificati scolastici attestanti il profitto di ogni singolo anno scolastico (la richiesta può essere effettuata già al termine del terzo anno del liceo italiano
  • Lettere di referenze degli insegnanti
  • Lettera di referenza di un counselor scolastico
  • Esame di lingua TOEFL o IELTS
  • Esame SAT (scholastic assestment test), strumento di valutazione internazionale, composto da tre sezioni (critical reading, writing and mathematics). Per ogni sezione il punteggio oscilla da un minimo di 200 ad un massimo di 800 punti. Le università Ivy League richiedono un totale minimo di 1460. Il test può essere svolto più volte. In Italia è possibile svolgere il SAT nelle varie sedi accreditate, 5 volte l’anno, ad un prezzo di circa 50/60 dollari.

 

L’esame SAT è utile anche nelle università italiane

Diffusosi dal sistema universitario americano, il SAT inizia ad essere richiesto anche da alcuni atenei italiani, per affiancare o sostituire il classico test d’ingresso.

Il SAT si mostra come uno strumento di internazionalizzazione degli studi, oltre che una valida possibilità di garantire una maggiore equità in fatto di ammissioni.

Tra i primi istituti accademici italiani a farne richiesta figura l’Università Bocconi di Milano, che non accetta l’ingresso degli studenti con un punteggio inferiore a 1040. A seguire l’esempio milanese, anche la Luiss Business School di Roma, il Politecnico di Milano, la Bologna Business School e l’Università di Padova per la facoltà di psicologia.

 

Esiste una “Ivy League” in Italia?

Secondo i dati del QS World University Rankings per le iscrizioni 2024, la classifica delle prime 5 università italiane è così ripartita:

  1. Politecnico di Milano con un punteggio di 55,2 (123° nella classifica mondiale)
  2. La Sapienza di Roma (134°)
  3. Alma Mater Studiorum Università di Bologna (154°)
  4. Università di Padova (219°)
  5. Politecnico di Torino (252°)

Nel 2008, un primo tentativo (mai finalizzato) di realizzare un’alleanza accademica italiana è stato quello dell’AQUIS, un’associazione per la qualità delle università italiane. L’idea prevedeva una sorta di lega tra i primi atenei italiani riconosciuti dal ranking mondiale. L’obiettivo era quello di ottenere maggiori finanziamenti statali (come era stato accennato dal governo in carica), erogati in base alla qualità dell’ateneo.

Non ci sono dubbi che il sistema italiano sia un sistema basato sul concetto di un’università di massa. Ma negli ultimi anni, a Milano, sembra si stia lentamente affiancando al modello tradizionale uno alternativo, ricalcato sull’esempio statunitense. L’Università Bocconi e il Politecnico stanno sviluppando un sistema di corsi post-laurea di rilevanza economica, progettati attraverso gli schemi accademici tradizionali.

Si tratta di università private che, per alcuni aspetti, emulano gli atenei americani. A fronte di rette cospicue, realizzano un orientamento al lavoro più marcato. Offrono possibilità di collegamenti con le realtà del mondo del lavoro, attraverso stage che, in molti casi, rappresentano uno sbocco importante per la futura carriera (approfondisci con la lettura dell’articolo “Ci sono differenze fra le aspettative degli universitari americani e italiani?).

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Ilenia Valleriani

Ho conseguito con lode la laurea specialistica in Comunicazione d’Impresa, successivamente alla laurea triennale in Scienze della Comunicazione, presso l’Università La Sapienza di Roma. Insegnante nella scuola superiore di secondo grado, dal 2017 ho iniziato l’attività di content writer, in particolare sui temi del marketing e della comunicazione, per seguire la passione che coltivo sin da bambina: la scrittura. Da luglio 2021 collaboro con il blog di Education Marketing Italia.

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