Abbandono degli studi universitari: in Italia tasso da record

Università: si mantiene costante il numero di iscrizioni, ma aumenta quello di coloro che abbandona in corso

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Nell’ultimo anno, i dati sull’abbandono degli studi universitari in Italia sono preoccupanti. Mai negli ultimi dieci anni il tasso di abbandono era stato così alto, passando dal 6,3% al 7,3%. Questa tendenza negativa ci spinge a riflettere: cosa sta accadendo ai nostri studenti?

Secondo le statistiche del Open Data del MIUR riportate da La Repubblica, il fenomeno colpisce sia uomini che donne, con percentuali rispettivamente del 7,4% e 7,2%. La situazione è particolarmente critica tra le matricole del primo anno, con un tasso di interruzione del 7,1%. Nonostante il numero di iscrizioni sia aumentato del 10,3% (fonte rapporto Anvur) negli ultimi dieci anni, grazie anche alle università telematiche e alla possibilità di seguire corsi online, il problema dell’abbandono persiste.

 

Abbandono degli studi universitari in Italia

Il profilo dello studente che abbandona

Chi sono gli studenti più a rischio di abbandono? Un’inchiesta dell’Istituto IRES dell’Emilia Romagna su 30.000 studenti delle scuole superiori e universitarie ha svelato che il 33,7% degli universitari considera l’idea di interrompere gli studi, contro il 22,7% degli studenti delle scuole secondarie. Il problema è particolarmente acuto al Sud, dove il tasso è del 29,7%.

Gli studenti fuori sede, provenienti da altre regioni, sono tra i più colpiti (32,8%), così come gli studenti stranieri extra-europei (33,5%) e quelli che si identificano come non binari (46,4%).

Anche il background familiare influisce: gli studenti con genitori che hanno solo il diploma di scuola media (34,4%) e quelli con difficoltà economiche (35,2%) sono più propensi ad abbandonare gli studi.

L’abbandono è più frequente nelle discipline scientifico-tecnologiche (34,8%) e umanistico-sociali (34,5%).

 

Le principali cause dell’abbandono

Non è facile individuare delle cause precise, come specificano anche Camilla Piredda e Simone Argutoli dell’Udu, l’Unione degli universitari: “Non esiste una causa unica per l’abbandono universitario, ma sono molte: la mancanza di programmi di orientamento e di tutorato, l’assenza di supporto psicologico, un ambiente universitario che non sempre risulta così attrattivo, difficoltà economiche e la mancanza di una prospettiva lavorativa”.

A queste si aggiunge il fatto che, se si desidera cambiare corso di laurea, non si ha più diritto alle borse di studio. Così come se non si riesce a terminare gli studi nel periodo previsto, diventando “fuoricorso”, è prevista una mora sulle tasse annuali. Questi elementi contribuiscono a generare ansia e frustrazione, che spingono verso l’abbandono.

Sull’aumento dell’ansia risulta aver influito anche il periodo di didattica a distanza vissuto durante la pandemia, che avrebbe contribuito a generare maggiore paura per il futuro (approfondisci con Dilaga l’allarme ansia tra gli studenti universitari: la situazione in USA e in Italia).

Ad aggravare la percezione di difficoltà da parte degli studenti, si aggiungono i rincari degli affitti e del costo della vita, causati dalla presente congiuntura economica.

“Crediamo – proseguono i rappresentanti dell’Udu – che questi elementi debbano accendere l’attenzione sulla condizione degli studenti nel nostro paese. Troppo facile chiamare “bamboccioni” e “chiedere sacrifici” agli universitari, dicendo che bisogna arrangiarsi, fare il pendolare per due ore, fare un lavoro per arrivare a fine mese, andare per forza nell’ateneo più vicino a casa. A tutti quelli che hanno detto queste cose, un invito a riflettere sul fatto che i pendolari a lunga percorrenza e gli universitari in difficoltà economica sono tra i profili che abbandonano più facilmente gli studi. Se non mettono lo studente in condizione di svolgere il proprio percorso di studio in modo dignitoso e tranquillo, poi non stupiamoci se registriamo un tasso di abbandono pari al 7,3%”.

 

L’aumento dei “cervelli in fuga”

La scarsa fiducia nel futuro post-laurea di certo non aiuta. Ogni anno il sistema italiano perde circa 8 mila laureati, tra 25 e 34 anni, che decidono di optare per una carriera all’estero. La ricerca di Intesa San Paolo stima che, di 120.000 studenti uscenti negli ultimi anni, solo 40.000 siano rientrati. Per ogni laureato emigrato, lo Stato italiano perde circa 138 mila euro, l’ammontare della derivante dalla formazione della risorsa.

 

La situazione attuale delle università italiane

L’Italia mostra ancora un divario nel numero dei laureati, rispetto alla media europea. In Germania il numero di studenti iscritti ad un corso universitario è pari al 17,9%, seguita da Francia 15%, Spagna 11,7%. L’Italia, invece, registra solo il 10,8%. Anche nel numero di laureati, il nostro Paese appare distanziato: solo il 17% in confronto al 40,1% in UK, 33% della Francia.

Il QS University World Rankings 2023 mostra comunque che l’Italia annovera 4 università tra le prime 300 al mondo: il primo, in ordine di posizione, è il Politecnico di Milano, al 139esimo posto, seguito da Alma Mater di Bologna, La Sapienza di Roma e l’Università di Padova.

In generale, l’Italia si classifica però sesta per numero di citazioni nelle ricerche dei testi accademici e settima per produzione accademica.

Secondo la ricerca interna del Censis, che prende in considerazione diversi indicatori (strutture, servizi, borse di studio, comunicazioni, internazionalizzazioni, citazioni, numero di iscritti), nell’anno accademico 2022/23, al primo posto si trova l’Alma Mater di Bologna, seguita dall’Università di Padova e La Sapienza di Roma. Tra le università private spiccano la Bocconi e la Cattolica di Milano.

 

Quali azioni di contrasto?

Alla luce delle problematiche emerse, il MIUR ha comunicato una serie di iniziative per cercare di migliorare la situazione trovando delle soluzioni che possano limitare la dispersione universitaria, agendo su diversi fronti:

  • potenziamento dell’orientamento per la transizione scuola-università
  • rendere più efficaci i servizi legati al sostegno degli studenti
  • attivare la no-tax area
  • fornire supporto alla mobilità internazionale
  • realizzare attività di tutorato e attività didattiche integrative

I dati dimostrano che, tra gli studenti che hanno seguito dei corsi di orientamento, il tasso di abbandono è contenuto del 10%. Con i fondi del PNRR, l’obiettivo dovrebbe essere quello di realizzare circa 50 mila corsi, 6 mila sono già gli accordi messi in atto tra scuola e università (approfondisci con Negli Stati Uniti a scegliere il college ti aiuta il consulente per capire le differenze con il sistema americano).

Il Ministero ha confermato lo stanziamento di 15 milioni di euro finalizzati all’orientamento e tutorato per sostenere i ragazzi nella fase di scelta del percorso universitario, in modo da poter diminuire il tasso di abbandono dovuto ad un’errata opzione.

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Ilenia Valleriani

Ho conseguito con lode la laurea specialistica in Comunicazione d’Impresa, successivamente alla laurea triennale in Scienze della Comunicazione, presso l’Università La Sapienza di Roma.

Insegnante nella scuola superiore di secondo grado, dal 2017 ho iniziato l’attività di content writer, in particolare sui temi del marketing e della comunicazione, per seguire la passione che coltivo sin da bambina: la scrittura.

Da luglio 2021 collaboro con il blog di Education Marketing Italia.

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